Lo sguardo di Cinto, il diverso, per vedere un mondo che non c'è più

  • Alessandro Cutrona Università degli studi di Enna "Kore"
  • Salvatore Ferlita Università degli studi di Enna "Kore"
Palabras clave: Pavese, diversità, ritorno, sguardo, fanciullezza

Resumen

L'articolo prende in considerazione una narrazione laterale della disabilità attraverso le pagine de La luna e i falò (1950) di Cesare Pavese, assumendo lo sguardo di Cinto: personaggio con un'infermità e custode, al contempo, del più alto grado di valore della fanciullezza. Il termine disabile nel corso del tempo ha acquisito una riconfigurazione del propprio significato (Schianchi 2012): in questo caso, il visible e l'invisible della diversità costituiscono l'episteme di un racconto assimilabile a un'operazione di montaggio dei nodi dell'intreccio; la pìetas del protagonista Anguilla e l'impedimento fisico di Cinto sono come pianeti in rotta di collisione. Il racconto di Pavese, scrittore "diverso" per eccellenza nel Novecento che ai diversi, agli outsider, agli emarginati ha sempre guardato, fonda le proprie radici su due principali livelli narrativi: l'infanzia e la maturazione, che indicano rispettivamente l'avventura e la delusione -Leitmotiv vibratile e palpabile dell'intera poetica pavesiana. La disabilità è qui, dunque, locus narrativo nel quale il protagonista ritrova in Cinto i riflessi di una giovinezza sbiadita, e quello che sembrava essere un limite invalicabile trova riscatto nella forza di un racconto che contempla la virtù dell' autenticità. I personaggi di una storia diventano i vettori di un vulnus, ma è la loro narrazione a far mutare la visione che si ha di essi. Del resto, la vera letteratura può far cambiare la percezione che si ha del mondo e di chi lo abita. Cinto, infatti, che ha sempre sentito le storie raccontate da altri, con l'amicizia di Nuto e Anguilla riuscirà per una volta ad essere il protagonista della propria narrazione. 

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Publicado
2024-11-11
Cómo citar
Cutrona A. y Ferlita S. (2024). Lo sguardo di Cinto, il diverso, per vedere un mondo che non c’è più. Cuadernos de Filología Italiana, 31, 91-99. https://doi.org/10.5209/cfit.92802