Visioni di sterminio ne "La Storia"
Abstract
Partendo dalla condanna morale della Storia, elaborata sulle orme della filosofa francese Simone Weil e dalle suggestioni indirette esercitate dal nuovo orientamento metodologico degli studi storici (si chiamerà microstoria), nel suo romanzo più popolare (La Storia, 1974) Morante propone differenti visioni di sterminio: morti individuali dotate di profondo valore simbolico, stragi di grandi numeri di esseri viventi. Per il primo caso propongo l’esempio della coppia Useppe/Davide: Useppe viene annientato per aver assunto su di sé, in umiltà e innocenza, il Male della storia; Davide è stritolato dai processi violenti della storia che egli ha tentato d’interpretare ricorrendo alla cultura e alla ragione, fino a contrarre il male che avrebbe voluto combattere. La strage collettiva degli ebrei è rappresentata attraverso metafore animali: la tragedia che macchia la storia del Novecento (il massacro degli ebrei nei campi di concentramento nazisti) è saldata alla consuetudine quotidiana, praticata senza turbamento e senza percezione di colpa (l’uccisione degli animali per essere di cibo agli umani). Questo accomunamento culmina nelle due straordinarie immagini che, a distanza di tempo, Useppe incontra alla stazione Tiburtina: il vitello che aspetta d’essere condotto al macello, gli ebrei del ghetto romano avviati ai campi di sterminio.Downloads
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