CON-TEXTOS KANTIANOS.

International Journal of Philosophy N.o 5, Junio 2017, pp. 138-149

ISSN: 2386-7655

Doi: 10.5281/zenodo.805927


La maschera cartesiana: René Descartes nella Critica della

ragion pura di Kant


The Cartesian Mask: René Descartes in Kant’s Critique of Pure

Reason


ALFREDO GATTO*


USP – FAPESP, Brasil


Riassunto


L’articolo si propone di analizzare la presenza di Descartes nella Critica della ragion pura, con particolare attenzione ai paralogismi della psicologia razionale e alla confutazione dell’idealismo. L’aspetto più rilevante dell’analisi kantiana non concerne l’interpretazione del pensiero cartesiano fornita dal filosofo tedesco, data la scarsa conoscenza che Kant possedeva dei testi di Descartes. Ad essere interessante, al contrario, soprattutto se considerata alla luce della sua successiva ricezione, è l’immagine di Descartes che emerge dalle pagine della Critica. A questo riguardo, è possibile affermare che Kant abbia contribuito al ritorno sulla scena del pensiero tedesco del Descartes metafisico, una maschera filosofica che svolgerà un ruolo centrale nella ricostruzione della storia della filosofia proposta dall’idealismo post-kantiano.


Parole chiave


Descartes, cogito, ergo sum; Critica della ragion pura; Idealismo tedesco


Abstract


The article aims to analyze the presence of Descartes in Kant’s Critique of Pure Reason, with particular attention to the Paralogisms of Rational Psychology and to the Refutation of Idealism.



Anche in questo caso, ponendosi da una prospettiva cartesiana, è facile sottolineare come l’idealismo problematico, scettico o empirico descritto da Kant non corrisponda affatto al procedimento messo in campo da Descartes. Il filosofo francese appare, più semplicemente, un termine di confronto costruito ad arte, un espediente retorico per dare più forza, anche in termini propriamente drammatici, alla posizione kantiana. Ora, stabilita la scarsa conoscenza che Kant possedeva della filosofia cartesiana – e si tratta forse di un eufemismo, se solo prestiamo attenzione alle considerazioni kantiane sulla natura sillogistica del cogito, ergo sum espressamente esclusa dallo stesso Descartes, e proprio nei



26 Per una presentazione più ampia e precisa della questione, cfr. Dreyfus 1968. Anche per Ginette Dreyfus il Descartes idealista preso in esame da Kant non corrisponde al Descartes “storico”, ma risponde a delle esigenze interne alla speculazione kantiana: «Les jugements qui définissent ici l’idéalisme portent donc, non sur ce que Descartes et Berkeley ont littéralement professé, mais sur ce qui, selon Kant, ne manque pas de découler de leurs principes dès lors que le kantisme est vrai», Dreyfus 1968, p. 440.

27 Kant sottolinea come siano proprio i presupposti dell’idealismo a sancirne il naufragio. L’idealismo, infatti, assume come punto di partenza l’esperienza immediata del senso interno, per poi giudicare incerta l’esistenza degli oggetti esterni, visto che potremmo essere direttamente noi la causa di quelle rappresentazioni. Tuttavia, rileva il filosofo tedesco, è solo attraverso la natura immediata dell’esperienza esterna – affinché si immagini qualcosa di altro dal pensiero, è richiesta precisamente l’esistenza di un senso esterno che ci permetta di cogliere l’oggetto nell’intuizione – che diventa possibile determinare l’esperienza interna, vale a dire la nostra stessa esistenza nel tempo. Il mondo si rivela così il presupposto del senso interno: la proposizione “Io sono”, se richiede l’esistenza di un soggetto, non permette però ancora nessuna conoscenza empirica, se non per il tramite dell’intuizione. Per tali ragioni, conclude Kant, la stessa esperienza interna, a differenza dei presupposti dell’idealismo cartesiano, è possibile solo in termini mediati, ossia soltanto attraverso quella esterna.

testi presenti nella biblioteca del filosofo tedesco –, è legittimo domandarsi chi fosse realmente Descartes ai suoi occhi.

Il quesito non si pone per stabilire, come ha cercato di fare Ferdinand Alquié, ciò che, a dispetto delle apparenze, univa i due filosofi o ciò che Kant avrebbe potuto positivamente recuperare del lascito cartesiano – nello specifico, l’esteriorità dell’essere al pensiero e il divario che divide il cogito dal proprio sum28 – , se solo fosse stato più consapevole o accorto nella lettura dei testi di Descartes. Più semplicemente, alla luce delle occorrenze sparse nella prima Critica, ci si può limitare ad osservare come il “Descartes kantiano” non sia altro che una maschera dietro cui si nasconde l’oppositore ideale dell’idealismo trascendentale, una figura funzionale a far risaltare con ancora più forza e nitidezza la novitas filosofica presentata da Kant. Pertanto, se questo Descartes nulla ci dice sulle coordinate del suo pensiero o sulla collocazione storica della sua riflessione, ci consente al contempo di vedere all’opera la natura dinamica della speculazione kantiana, cioè il suo organizzarsi e strutturarsi a partire da un’altra posizione che ne faccia emergere le linee guida, come dimostra, peraltro, l’insistenza con cui Kant ritorna sugli stessi luoghi.

Inoltre, Kant non è certo il solo né il primo a mostrarci come la maschera cartesiana si presti ad essere plasmata a più riprese e ogni volta secondo differenti prospettive. La storia della ricezione di Descartes, infatti, è anche la storia delle molteplici traduzioni cui è andato incontro il filosofo – basti pensare, a questo proposito, alla sua presenza nel dibattito francese e a come ogni epoca della Francia post-cartesiana abbia avuto, voluto e creato il “proprio” Descartes 29 . Il merito kantiano, e l’importanza storica della sua mediazione, tuttavia, è quello di aver riportato la riflessione di Descartes al centro del dibattito tedesco, in un’epoca tutta dominata e plasmata dalla presenza del pensiero leibniziano. Nelle ultime righe del suo lavoro dedicato a Leibniz come critico di Descartes, Belaval coglie quindi un aspetto essenziale della ricezione cartesiana quando sottolinea come, in ambito tedesco, la metafisica di Descartes «a été d’abord moins féconde que celle de Leibniz qui est la grande inspiratrice de la pensée allemande: c’est Kant qui en réveillé l’intérêt et qui lui a ouvert une nouvelle carrière» (Belaval 1960, p. 537). È dunque attraverso l’operazione teorica kantiana che Descartes si ritrova nuovamente nel cuore del sapere e nelle fondamenta della sua architettura, ritornando così ad essere oggetto di un rinnovato interesse metafisico.

In tal senso, pur non potendo stabilire, con certezza geometrica, alcun legame testuale, è più che ragionevole pensare che il recupero hegeliano di alcuni specifici elementi del pensiero cartesiano sia legato alla loro presenza nella Critica kantiana. Certo, il giudizio di valore sarà ribaltato, e la maschera cartesiana assumerà, questa volta, dei tratti eroici, incarnando una svolta decisiva nella progressione dell’autocoscienza dello Spirito. Tuttavia, i plessi teorici cui verrà dato risalto e importanza saranno gli stessi, fatta salva, naturalmente, la differenza nei presupposti e nell’interpretazione. Pertanto, se Kant non



28 Cfr. Alquié 1975. Sulla frattura kantiana fra essere e pensiero, si tengano inoltre presenti le osservazioni di Georg Simmel nelle sue lezioni berlinesi: Simmel 1918. Sullo scarto kantiano fra pensiero ed essere, questa volta in relazione all’interpretazione fornita da Hegel, cfr. Goria 2014.

29 Cfr. Azouvi 2002.


formula una lettura circostanziata del Descartes “storico”, dà comunque vita ad una maschera filosofica che svolgerà un ruolo centrale nella ricostruzione storico-filosofica dell’idealismo post-kantiano. In una storia della ricezione del cartesianismo, interessato ad indagarne i principali luoghi ermeneutici, Kant si rivela dunque fondamentale, e non per ciò che ha affermato di Descartes, ma per averlo riportato al centro del dibattito, nel processo stesso di auto-costituzione del sapere filosofico. D’altra parte, come rivelerà Schelling, «senza dubbio [Descartes] trovò in Germania il primo fondamento del suo sistema di pensiero» (Schelling 1856-1861, p. 264).


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