CON-TEXTOS KANTIANOS.
International Journal of Philosophy N.o 1, Junio 2015, pp. 303-308
ISSN: 2386-7655
doi: 10.5281/zenodo.18536
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doi: 10.5281/zenodo.18536
Spalding e il lungo cammino della “destinazione dell’uomo” nel dibattito settecentesco tra teologia, morale e prospettiva antropologica. Controversie e soluzioni nel segno della Modernità
Spalding and the Long Path of the “Destination of Man” in the Eighteenth-Century Discussion Between Theology,
Morals and Anthropological Point of View. Controversies and Solutions Under the Banner of Modernity
ELENA AGAZZI∗
Università di Bergamo, Italia
Recensione: Laura Anna Macor, Die Bestimmung des Menschen (1748-1800). Eine Begriffsgeschichte , Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt, 2013, 432 pp. ISBN: 978-3-7728-2615-3
Fin dal suo studio del 2008, che porta un suggestivo titolo ispirato dai Masnadieri di Schiller, Il giro fangoso dell’umana destinazione. Friedrich Schiller dall’illuminismo al criticismo, Laura Anna Macor si è concentrata su uno dei principali quesiti dell’illuminismo tedesco: la destinazione dell’uomo e la ricerca di autonomia della ragione da istanze eteronome. L’espressione chiave di questa riflessione è “Bestimmung” fin dalla sua prima accezione di “determinazione”, in cui Schiller coglie
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Professore Ordinario dell’Università di Bergamo. E-mail di contatto: agazzi@unibg.it
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Elena Agazzi
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il senso fondamentale dell’invito kantiano a una emancipazione del soggetto che si interroga sulla propria “destinazione” e cerca di volgerlo a un progetto di crescente autonomia dell’uomo dai condizionamenti morali e politici, significativamente incarnati nelle sue opere in figure dai tratti paternalistici o autoritari. La linea lungo la quale si compie la trasformazione del concetto di “Bestimmung”, passando dal significato di determinazione a quello di destinazione, è il percorso che viene seguito dal 1748 al 1800 nella recente monografia della Macor, Die Bestimmung des Menschen. Eine Begriffsgeschichte (2013), forte di oltre 350 pagine di intense riflessioni. Esso interessa alcuni tra i pensatori più fecondi di idee sulla scena del dibattito filosofico- antropologico del Settecento: Mendelssohn, Kant, Herder, Schiller e Fichte.
Un precedente studio dell’autrice si concentrava sulla personalità di Schiller e affrontava la sua riflessione sulla destinazione ultraterrena dell’uomo, partendo dai suoi anni di formazione presso la Karlsschule di Stoccarda (1773-1780) per arrivare ai Briefe über Don Karlos (1788), in cui Schiller rifletteva sui rischi della degenerazione di un atteggiamento sobriamente razionale in pernicioso entusiasmo, in concomitanza con un interesse ancora in nuce per Kant, di cui a quel tempo apprezzava in particolare la Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher Absicht. Macor prende invece in quest’occasione le mosse dalla genesi del concetto “Bestimmung”, concentrandosi sul profilo intellettuale e sugli assunti antropologico-filosofici del pensatore che ha coniato questo termine: il teologo luterano Johann Joachim Spalding (1714-1804), autore della Betrachtung über die Bestimmung des Menschen del 1748. Le riedizioni della sua
opera, successivamente proposta con il titolo abbreviato Bestimmung des Menschen,
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sono undici in tutto (1748 -1794 ) e accompagnano gli sviluppi della riflessione sulla
disposizione terrena e spirituale del soggetto umano a corrispondere al progetto divino, dall’Illuminismo al Criticismo per giungere all’Idealismo.
In questo scenario, in cui si scandiscono tutte le tappe del dibattito sulla destinazione dell’uomo sulla scorta degli autorevoli studi di Norbert Hinske (Hinske: 1985 e Hinske: 1990), Werner Schneiders (Schneiders: 1974 e Schneiders: 1985), Albrecht Beutel (Beutel: 2011) e di altri specialisti del pensiero illuminista, di cui Macor dà conto in una dettagliata ricostruzione dello stato della ricerca (pp. 23-28), si colgono alcuni fondamentali punti di oscillazione di un concetto che si allontana
CON-TEXTOS KANTIANOS International Journal of Philosophy N.º 1, Junio 2015, pp. 303-308; ISSN: 2386-7655
doi: 10.5281/zenodo.18536
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progressivamente dal controllo della dottrina luterana, per la quale significava “Vorschrift” (prescrizione). La connotazione muta in modo direttamente proporzionale alla necessità di interpretare il concetto di “Bestimmung” in senso antropologico, piuttosto che religioso (Spalding, sulla scorta di Shaftesbury, pp. 79-84), in senso civile (Mendelssohn, p. 54), in senso morale e destinale (Kant, pp. 211-212), in senso collettivo, anche da un punto di vista storico (Herder, pp. 213 sgg.), in senso storico collettivo nella prima fase dell’approccio di Schiller al pensiero di Kant (1787-1790) e poi invece in un senso non più riconducibile all’alveo della Menschheit, perché dal 1795 Schiller si attesta sulla convinzione che il progresso dell’umanità abbia nuociuto al singolo individuo (1795-1801). Rispetto, dunque, alla sua monografia del 2008, che rivela il nucleo fondativo dell’attuale lavoro, Macor completa il cammino intorno alla centralissima riflessione sul senso e sullo scopo della vita umana tra realtà terrena e vita oltre la morte, integrandolo con una lettura delle ragioni dell’allontanamento di Schiller dalla visione kantiana di filosofia della storia riconducibile ai saggi brevi usciti nella Berlinische Monatsschrift, fino a giungere al declino del concetto di “Bestimmung” con Fichte. Il filosofo, una volta giunto a Jena, proietta infatti – tra il 1794 e il 1798 – in una dimensione del tutto diversa, quella del Beruf (professione), l’idea del compito umano (pp. 310 sgg.) Fichte riduce drasticamente i margini dell’autonomia umana, perché per lui il soggetto non ha senso se non in relazione con gli altri individui, nei quali riconosce il comune compito destinale. La traduzione del “Mensch” in “Individuum” obbliga perciò il soggetto, come rileva Macor in un passo che funge da bilancio del suo itinerario attraverso i nodi cruciali del pensiero antropologico-filosofico del ‘700 – già esplorato in un’ulteriore studio del 2011 intitolato La fragilità della virtù. Dall’antropologia alla morale e ritorno nell’epoca di Kant – a essere membro di una collettività senza la quale la sua funzione perde completamente valore. Non tanto riduttivo, si può constatare, è il fatto che l’uomo debba rendere conto delle proprie azioni in un contesto sociale, quanto vincolante è la prescrizione sottesa a questo pensiero (p. 314). Il bilancio che Macor trae da questa visione fichtiana della teleologia dell’individuo vincolata alla collettività coincide con il punto di transito del pensiero sull’uomo dal Criticismo all’Idealismo:
Se l’uomo scopre la propria ‘destinazione’ per l’appunto nell’assunzione di un compito che concerne tutto il genere umano (Geschlecht), ma ha già preso coscienza
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del fatto che può far fronte a questo compito solo nel contesto di una particolare posizione (Stand) sociale, in cui si vota a una sola tra le proprie disposizioni e la porta possibilmente al massimo grado di perfettibilità, allora gli è concesso soltanto di occuparsi della propria professione (Beruf) ed esser con ciò certo di non venire meno alla propria destinazione come uomo. La destinazione dell’uomo si è risolta nella professione dell’uomo. (p. 315)
Se finora non si è ancora sufficientemente posto l’accento sul fatto che una delle condizioni basilari del dibattito illuministico provocato dallo scritto di Spalding era stata la ricerca della corrispondenza dell’uomo con il progetto divino – laddove per il teologo protestante la coscienza, esplicitandosi attraverso intime sollecitazioni, rappresentava già in sé la voce interiore della verità eterna, sufficiente a riconoscere a Dio il ruolo di garante della spiritualità umana e dello stimolo al perfezionamento, Fichte pone fine a qualsiasi tentativo di scindere la destinazione dalla professione etica dell’uomo, assegnandogli la responsabilità di difendere la propria moralità nell’ambito di uno specifico ruolo sociale. La terminologia fichtiana, improntata al principio di autorità e garante della superiore autorevolezza della categoria degli uomini dotti rispetto alle altre categorie, richiama alla mente la linea di discrimine, sottolineata più volte nei dibattiti settecenteschi tra Thomas Abbt, Moses Mendelssohn e Immanuel Kant, tra l’uomo “responsabile” e l’uomo bisognoso di uscire dallo stato di minorità. Fichte va oltre e si appella al binomio cittadino/Stato che legittima l’identità del Bürger (cittadino) rispetto a quella dell’uomo bisognoso di emanciparsi.
Macor giunge a questo punto quasi al termine della propria trattazione. Dopo aver già dato ampia prova di aver colto nel contesto dei dibattiti sulla destinazione dell’uomo tutti i momenti cruciali delle tensioni tra il luteranesimo ortodosso di Goeze e Chladenius e quello esistenziale di Spalding, tra il teleologismo spirituale di Mendelssohn e il moralismo pratico di Abbt, in cui si era trovata sempre al centro della disputa l’eccessiva presenza della riflessione razionale e della filosofia pratica invocate da Spalding, la tesi relativa al ruolo di Spalding come ago della bilancia della riflessione sul perfezionamento spirituale dell’uomo si avvalora con un ultimo indizio probatorio. Nel pieno dell’Atheismusstreit che travolge Fichte, costui si appella alla lezione spaldinghiana sulla Bestimmung des Menschen (p. 319):
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Spalding e il lungo cammino della “destinazione dell’uomo”
La familiarità con il saggio di Spalding è già evidente leggendo queste osservazioni [esposte da Fichte nel proprio trattato intitolato Bestimmung des Menschen del 1800, N.d.R.] e viene ulteriormente confermata grazie alla corrispondenza di struttura e genere [con il saggio di Spalding, N.d.R.]. Fichte lascia parlare un io fittizio che ragiona sul senso del proprio essere, suddivide lo sviluppo di questo pensiero in tappe che coprono successivamente la parabola ascendente verso la verità, e completa il monologo con un dialogo tra l’io e uno spirito, inserendolo nel secondo stadio del percorso. Nel testo si ritrovano ripetutamente argomenti e addirittura digressioni che sono tratti tanto dallo scritto di Spalding, quanto dai dibattiti da esso provocati. (p. 320)
Il lavoro della Macor, dunque, come enuncia il sottotitolo, non si concede divagazioni dall’obiettivo di registrare la metamorfosi del concetto della destinazione lungo il corso della seconda metà del Settecento. Questo aspetto conferisce rigore argomentativo al suo studio, che oltre che essere redatto in uno stile espositivo molto accessibile, integra le informazioni relative alla ricezione dell’opera ricostruendo ogni volta il contesto culturale della discussione tra le parti in causa. Per fornire un esempio tra gli altri, i paragrafi 15, 16 e 17 del IV capitolo rendono conto della diffusione del pensiero di Spalding nella Svizzera francese e tedesca, coinvolgendo le personalità di Sulzer, Wieland e Lavater. Con ciò la Macor ha successo nel registrare che non casuale è la diffusione del termine “Bestimmung” negli epistolari e nelle opere dei personaggi menzionati. Si tratta dunque di un concetto veicolare, che viene adattato di volta in volta alle circostanze e agli scopi teorici cui si indirizza la riflessione sulla dimensione morale dell’uomo. Non a caso, come rileva l’autrice, che propone un rapido schizzo del contenuto del Versuch einiger Moralischen Betrachtungen über die Werke der Natur (1750) di Sulzer, autore dell’opera fondamentale Allgemeine Theorie der schönen Künste (4 voll., 1771-1774), i cinque dialoghi tra due interlocutori che si dedicano a sviscerare la questione della creazione in relazione alla natura così come essa si presenta all’osservazione umana sono intrisi di riferimenti al trattato di Spalding. Tuttavia, come viene osservato, dal momento che il problema destinale include anche cose e animali, la prospettiva di Sulzer recupera una posizione che avrebbe prestato il fianco alle dure critiche del teologo Chladenius tra il 1754 e il 1756. Costui giudicò offensiva delle dottrine della giustificazione, della predestinazione e del peccato originale la posizione di Spalding, disconoscendo a questa ogni possibilità di giustificare la probità dell’uomo
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in assenza di un intervento divino. L’atto di fiducia con il quale Dio assegnerebbe all’uomo la possibilità di percorrere il cammino verso la purezza dello spirito è proprio uno dei punti più controversi nella ricezione della Bestimmung des Menschen da parte dei teologi dogmatici.
In conclusione si osserverà che lo studio di Macor ritorna più volte sul dualismo di “Empfinden” e “Erkennen” e sulla questione dell’immortalità dell’anima, che percorre come un filo rosso anche la letteratura del ‘700.
Se finora Spalding era rimasto alquanto ai margini dell’attenzione del mondo italiano per quanto riguarda il pensiero tedesco sulla morale, grazie al lavoro di Laura Anna Macor non sarà più possibile prescinderne, giacché il discorso sulla Aufklärung dell’uomo, come dimostra Herder (p. 245), difficilmente può essere scisso da quello sul miglioramento (Verbesserung) della sua condizione e da quello sul suo perfezionamento (Vervollkommnung), nel quadro di una sua generale riflessione sulla “destinazione” in questo mondo o nella vita dopo la morte.
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