Agli albori della teoria del
riferimento all’oggetto. Il Beweisgrund e i suoi risvolti in ambito
teoretico e pratico
At
the dawn of the object reference theory. The Beweisgrund and its
implications in the theoretical and practical sphere
Francesca Fantasia*
Humboldt Universität zu Berlin, Germany
Recensione:
Failla, M. Existencia, necesidad,
libertad. En camino hacia la crítica, CTK E-Books 2017/Ediciones Alamanda,
Madrid 2018, 222 pagine. ISBN: 978-84-940241-5-3.
In diretto dialogo con filosofi e interpreti quali Martin
Heidegger, Theodor Adorno, Franz Brentano, Ernst Bloch, questo studio kantiano
in lingua spagnola[1] di
Mariannina Failla indaga – mediante la puntualità del commento ai testi
(glosse) e l’alto rigore interpretativo – l’origine, a partire dal Beweisgrund (1762)[2], delle molte questioni
legate alle nozioni di esistenza, possibilità e libertà, seguendone gli
sviluppi nel delinearsi della filosofia critico-trascendentale. La pluralità di
significati dell’“oggetto” che qui si rilevano, quale cosa in sé (Ding in sich), oggetto posto di fronte (Gegenstand) ed ente effettivo (wirkliches Ding) mostrano
un’articolazione di vasta complessità non riducibile al solo ente effettivo,
dal momento che la materia è sempre da considerare per Kant nella sua mediazione
con le leggi del pensiero, siano esse a priori o empiriche. Se per Brentano,
come scrive Failla in sede introduttiva, «es totalmente evidente, claro e
inequívoco que el objeto del concepto es un ente efectivo, externo al
pensamiento; para nosotros, sin embargo, este será precisamente un punto
neurálgico que debe ser cribado y comprobado» (p. 22). Fondamentale in questo
percorso è la distinzione, relativamente al Dasein,
di piani argomentativi differenti (piano logico-formale e piano ontologico, piano
del riferimento alla realitas come
“contenuto concettuale” e piano del riferimento alla Wirklichkeit come “effettività”), e l’individuazione dei diversi
significati di esistenza che ne emergono, tema centrale della prima parte, De la existencia.
La Glosa 1. Posible
y existencia si apre con l’analisi della Prima Considerazione della prova
ontologia a priori del Beweisgrund (Dell’esistenza in generale), dove Kant
argomenta che, se non si vuol dedurre l’esistenza di Dio da una possibilità
logica, deve essere già presupposta l’esistenza come “posizione” di entrambi.
Con la distinzione tra l’ente (ontologia) e la sua predicabilità (logica), Kant
smaschera qui l’argomento sull’esistenza di Dio che ha segnato, seppure nelle
sue diverse declinazioni, l’intera tradizione essenzialista, da Anselmo a
Tommaso, da Cartesio a Spinoza. Il complesso essenziale dei possibili predicati
come quiddità (Inbegriff) – essenza
logico-concettuale e linguistica della cosa posta – non solo non ne conterrebbe
per Kant l’esistenza, ma soprattutto presuppone alla base del quid il modo (assoluto) in cui la cosa
stessa, insieme a tutti i suoi predicati, viene posta. Per attuare il passaggio
dalla predicazione logica alla “esistenza effettiva”, emerge il bisogno di una
fondazione ontologica di tipo diverso. Come sottolinea l’Autrice, pur non
attuando nel ‘62 questo passaggio, Kant offre qui una diversa considerazione
del giudizio esistenziale, dove ad entrare in relazione non sono più il
soggetto e i suoi predicati ma le posizioni del soggetto insieme alle sue
determinazioni essenziali. Per diventare oggetto del pensiero, l’esistenza deve
essere già data e presupposta. La cosa in sé e per sé implica così non solo una
posizione ontologica (assoluta) e una realitas
del pensiero (la materia concettuale dell’oggetto posto), ma soprattutto
l’effettività dell’ente posto (la sua Wirklichkeit)
quale rimando ultimo dell’oggetto e di tutte le sue predicazioni. Tale
effettività guadagna in questo modo, secondo Failla, un peculiare statuto
semantico, intesa qui come ciò che conferisce senso al concetto e ai suoi
predicati.
La Glosa 2. Esencia
y existencia continua a seguire la critica kantiana all’essenzialismo
indagando il rapporto che qui emerge tra esistenza e realtà, a partire dalla
questione – inerente il giudizio esistenziale “una cosa esistente è Dio” – se la cosa sia cosa del pensiero (concetto) o
rinvii a un’esistenza esterna. Sul versante epistemologico, come ben mostrato
dalle analisi, il principale interlocutore di Kant è Alexander Gottlieb Baumgarten, il quale, articolando la sua riflessione sull’ente e sulla sua
realtà come scienza dei predicati generali dell’ente, resterebbe sempre
all’interno di una riflessione sull’essenza, con la conseguente
indifferenziazione di soggetto e oggetto, essenza ed esistenza, quiddità e Wesen. Da prospettiva kantiana, invece,
se qualcosa esiste viene posta la posizione assoluta e originaria della cosa,
che va ben oltre il possibile predicativo. L’Autrice mette in luce come il
rapporto di esistenza e realtà indagato da Kant nello scritto del ‘62 sveli una
preoccupazione di fondo che avrà alcuni dei più significativi risvolti
epistemologici nella successiva maturazione della filosofia critica, e in
particolare riguardo al problema della legittimazione trascendentale della
materialità percettiva (Dasein), tema
delle Anticipazioni dell’esperienza
della Critica della ragion pura:
Failla vede qui che «En el Kant maduro, se cumple la superación – por así decir
– “sintética” de la concepción baumgartiana analítico-esencialista de la
“realidad” y por consiguiente de la existencia» (p. 45). Particolare attenzione
è data in queste analisi, in dialogo con Cohen, alla nozione di grado, in cui
poter individuare (pur all’interno di innegabili aporie) un certo riferimento all’esistenza.
Sul versante metafisico-teologico, inoltre, si vede come
il rapporto baumgartiano di esistenza e realtà conduca a sua volta all’idea
leibniziana della totalità dei possibili (omnitudo
realitatis) e di qui alla totalità di tutte le perfezioni possibili. Pur
ammettendo un complesso di perfezioni dell’ente, da prospettiva kantiana Dio
può diventare semmai soltanto oggetto di un’idea regolativa della ragione pura,
della cui esistenza si resta ancora del tutto ignari. L’esigenza di Kant è
quella di partire dalla realitas del
concetto, considerare l’ente in questione (Ding)
come elemento oggettivo di un concetto (materia cognitiva) e indagarne la sua
intera possibilità. Ribaltando il paradigma della complessità predicativa e
affermando che in quanto Ur-wesen Dio
è fondamento e non insieme di tutte le determinazioni e limitazioni, Kant può
affermare qui che l’essere necessario è semplice (critica all’aggregato) e
unico (come Realgrund, ultimo
principio reale di ogni altra possibilità), svincolandosi così dall’egida del
rapporto leibniziano tra uomo e Dio o tra contingente e necessario, che fa
dipendere dalla volontà divina il migliore dei mondi possibili.
L’essenzialismo leibniziano-baumgartiano risulta dunque
illusorio, sia perché non “esce
fuori” dal concetto, sia perché l’intelletto umano non ne potrà mai conoscere
l’esistenza, rinviando questa sempre a oggetti dell’esperienza sensibile. A
fronte delle esigenze appena emerse, e del fatto che lo stesso Kant sarà in
grado di dar conto della distinzione tra esistenza e realtà soltanto con la Critica della ragion pura, l’Autrice
rivolge, per così dire, al Kant del Beweisgrund
la domanda circa il problema di fondo che muoveva le sue stesse critiche:
l’ente, in quanto posto, «lograría superar los límites del pensamiento, alias
de lo meramente posible?» (p. 65). Interessante a questo proposito è il
confronto dell’Autrice con l’interpretazione heideggeriana, che distingue tra
posizione esistenziale pura e posizione ontica, concreta, dell’ente.
Di fronte, inoltre, a quello che Adorno vedeva come
svilimento della metafisica da dialettica a scienza positiva, Failla mostra,
nell’Apéndice a la Glosa 2. Noumeno,
come sia proprio la domanda sulla validità ciò che consentirà a Kant e al
metodo scettico-critico di fare della ragione il giudice garante di quei
conflitti, possibile solo grazie alla torsione riflessiva, non riducibile ad
alcuna scienza positiva, della coscienza. È proprio la coscienza filosofica,
infatti, ad essere l’elemento distintivo della filosofia critica rispetto ai
sistemi naturalistici leibniziani, cartesiani e wolffiani, e ad assumere uno
dei compiti elettivi dell’intelligibile, quello della regolazione dei limiti, nella
celebre distinzione dei Prolegomeni
tra esercizio del limite (Grenze) nel
discernere tra immanente e trascendente della ragione e delimitazione mediante
confini (Schränke) dell’ambito di applicabilità della ragione stessa.
Nella Glosa 3.
Existencia y Wirklichkeit en 1762 viene analizzata e discussa la Seconda
Considerazione della prova ontologia a priori del Beweisgrund (Della
possibilità intrinseca in quanto presuppone un’esistenza) in cui sono messe
in relazione l’esistenza (Dasein) e
l’effettività (Wirklichkeit) degli
enti. Qui Kant, di fronte al percorso baumgartiano di guadagnare la possibilità
interna o posizione assoluta sempre sotto l’egida dei nessi logico-predicativi,
ribadisce che la possibilità interna (o posizione assoluta) è rapportata
all’esistenza: «si deve dimostrare dell’intera possibilità in generale e di
ogni possibilità in particolare, che essa presupponga qualcosa di effettivo (irgend etwas wirkliches), sia questo un
ente (Ding) o più enti (oder mehrere)»
(AA 02: 79). L’autrice sottolinea qui il senso duplice della relazione tra
possibilità (Moglichkeit, tutto il
possibile) ed esistenza (Dasein): il
possibile può essere inteso, da una parte, come dato da qualcosa di altro che è
effettivo, per cui l’esistenza di Dio è vista come fondamento ultimo del
mondano, e dall’altra, come qualcosa che si dia nell’effettività, per cui il
possibile è il predicato dell’esistenza e l’esistenza è il riferimento
semantico del concetto. Se il primo caso conduce all’ente assolutamente
necessario e dunque alla questione onto-teologica (e agli argomenti sul nulla,
sulla contraddizione e la necessità), e implicitamente alla domanda sul Realgrund quale ente reale e semplice,
fondamento dell’esistente (Dio) e degli enti, il secondo, non tematizzato ma
pur presente nello scritto del ‘62, rinvia alla preoccupazione di carattere più
strettamente teoretico del riferimento all’ente, dell’effettività degli enti
mondani, e di qui al tema del riferimento del concetto all’oggetto.
Failla segue così la domanda centrale dello scritto che
riguarda la sfera del pensiero a priori: non potendosi richiamare all’esperienza,
Kant si appella qui ai data della
possibilità del corpo (estensione, impenetrabilità, forza), pur facendolo su un
piano che resta pur sempre interno a quella che in futuro sarà la predicazione
analitica del concetto. Si rintraccia tuttavia nella domanda sulla legittimità
di una predicazione reale di un ente e di qui sul diritto della stessa logica
di essere logica predicativa, gli elementi di una riflessione kantiana
proto-critica. Per rispondere cioè alla domanda sul come (Wie) sia dato il pensabile della predicazione (il che cosa, Was), l’appello all’esistenza risulta
inevitabile, e già in questi passaggi la modalità dell’ente o enti emerge come
“riferimento significante agli enti”.
Nelle argomentazioni sulla prova cosmologica della
seconda parte dello scritto, tuttavia, Kant sembra rimanere sul piano della
predicazione logica, come ben mostrano le dettagliate analisi di questo
capitolo. Ma l’attenzione di Failla ricade sul fatto che Kant cerchi invece, in
sede finale, il principio della contingenza in un senso realiter che sia del tutto differente da quello divino, parlando di
una contingenza delle leggi del movimento che siano intese realisticamente. Qui
l’Autrice vede emergere chiaramente la “contingenza in senso reale” (opposta
alla derivazione divina delle leggi della contingenza) in cui rintracciare una
terminologia significativa per i successivi sviluppi della riflessione
critico-trascendentale. Dunque l’idea, a cui giunge qui Kant, del riferimento
del concetto a qualcosa di effettivo e l’idea che nella sua molteplicità questo
effettivo debba avere un principio in senso reale e non derivato da Dio,
rappresentano nel Beweisgrund
elementi fondamentali per i successivi sviluppi esposti nella Critica della ragion pura.
Di qui, attraverso il dettagliato esame della nozione di
esistenza nelle Analogie dell’esperienza
della prima Critica condotto nella Glosa 4. La existencia en las Analogías de
la experiencia, lo studio mostra, per così dire, il punto di arrivo delle
mire kantiane a cui puntava la questione posta nello scritto del ‘62. Contesto
e tema delle analogie è infatti proprio il riferimento della coscienza
all’esistenza dei fenomeni dati nel tempo. Rinviando l’esperienza, quale
sintesi non contenuta nelle percezioni stesse, a un’unità interna alla
coscienza, l’esistenza non si dà mai in sé ma sempre e solo in relazione alle
regole intuitive e intellettuali delle sue sintesi percettive (solo in
relazione ai suoi possibili schemi). Le relazioni formali del tempo offrono il
terreno per le connessioni oggettive necessarie tra le sintesi percettive.
L’autrice si sofferma in particolare sulla prima analogia (sostanza) che
interessa il modo temporale della permanenza, dove il riferimento all’esistenza
è dato dallo schema temporale che, mettendo in relazione sostanza e mutamenti,
fornisce alla sostanza un corrispettivo oggettivo esperibile nella durata, cogliendo
così la temporalità dell’esistenza fisica. Non mutando il tempo, ma permanendo
alla base di tutti i rapporti temporali (la sostanza nell’esistenza effettiva
non può mutare), il sostrato può essere percepito solo mediatamente negli
oggetti della percezione, nella cosiddetta effettività (Wirklichkeit) del tempo.
Ed è proprio in questo rapporto tra sostrato (permanenza
come pura capacità percettiva) e apprensioni delle percezioni temporali, quale
determinazione effettiva, esistenziale del sostrato, che ritorna, come mostra
l’Autrice, quella preoccupazione pre-critica e quella terminologia incontrata
nel Beweisgrund del rapporto tra Reale, Wirklichkeit e Dasein. La
realtà oggettiva e il significato critico-conoscitivo dell’esistenza si compie
cioè con la schematizzazione temporale della sostanza. Il permanere della
sostanza corrisponde al reale (das Reale)
temporalizzato che fa da substrato al mutare percettivo, ed è solo a partire da
questo che l’effettività (Wirklichkeit)
dell’esistenza (Dasein) può venir
schematicamente pensata come determinazione della sostanza, durata. L’esistenza
si profila così come medium percettivo che consente il passaggio dal tempo
ideale (puro, soggettivo, reale nell’esibizione dei nessi di permanenza,
successione e simultaneità) al tempo (sintetico) effettivo, wirklich. Failla dimostra così con
queste analisi che, pur in un ordine di riferimento ormai distante dall’ambito
problematico del Beweisgrund, il tema
delle analogie non sarebbe potuto nascere senza aver posto alla base la domanda
dello scritto del ‘62 su cosa legittimi la predicazione esistenziale di un
concetto.
In linea di continuità con quanto esaminato, nella seconda
parte del libro, De la necesidad y de la
libertad, Failla torna con la Glosa
5. Necesidad y nada alla Terza Considerazione della prova ontologia a
priori del Beweisgrund (Esiste un ente assolutamente necessario)
e in particolare alla riflessione sull’essere e il nulla e alla confutazione kantiana
del nichilismo. Distinguere nel possibile e nella contraddizione il formale e
il materiale, consente a Kant il passaggio alla riflessione sulla negazione
assoluta del possibile formale (ciò che è pensabile), da un lato, ma
soprattutto alla negazione assoluta del possibile materiale (dell’esistente che
viene qui posto). Se il nulla formaliter ammette come parimenti
possibile l’essere formaliter, è invece impossibile e
contraddittorio pensare la possibilità e al tempo stesso la posizione del nulla
come qualcosa di esistente. La contraddizione avviene qui non nella possibilità
di essere e nulla (l’intero non essere è pensabile, in quanto togliere l’intera
esistenza non implica necessariamente porre il nulla) quanto nella posizione
d’esistenza del nulla, dell’assoluto non essere: negando l’intera esistenza, si
nega l’intero possibile. Failla individua qui il problema nel rapporto tra
esistenza e materia: senza esistenza non si dà materia del pensiero e quindi neanche
accordo formale tra i materiali.
La contraddizione che Kant
smaschera nel nichilismo sorge tra la negazione ontologica assoluta, il non
essere, e la posizione dello Etwas,
contraddizione tutta interna all’ente denominato esistenza e che riguarda l’esistenza
tolta e posta al tempo stesso. Solo ponendo come qualcosa di esistente ciò che
toglie ogni esistenza s’incorre in quel contrasto di posto e tolto che riguarda
la materia e ancor prima l’esistenza che ne è a fondamento. Inevitabile e
interessante in questa doppia negazione è il rimando proposto qui dall’Autrice
alle prime pagine della logica hegeliana. Dalle analisi emergono inoltre con
chiarezza i due fronti su cui si dipana la preoccupazione kantiana. Da un lato,
sul versante teoretico, lo Etwas, il “che”, elemento materiale
della possibilità, rinvia alla materialità del pensiero stesso: ponendo l’esistenza del nulla si finisce nella
negazione assoluta del pensiero. Dall’altro, sul versante metafisico, porre
ontologicamente il nulla implicherebbe negare in modo assoluto la possibilità
di un ente necessario, mentre si vuole garantire alla filosofia la possibilità
di giustificare l’esistenza assolutamente necessaria di Dio, e proprio questa
stessa possibilità si fonda (sulla via negativa della contraddizione)
sull’esistenza.
In dialogo con la teoria dell’oggettività pura di Alexius
Meinong, Failla richiama l’attenzione sul carattere di “apertura” del discorso
kantiano sullo Etwas, e nella Apéndice a la Glosa 5. Teoría del objecto
afferma che nell’Anfibolia dei concetti della
riflessione della prima Critica «Kant
proporciona una teoría del objeto o del ente en el que se tiene en cuenta la
efectividad, la idealidad, el imaginario, el absurdo y la ficción racional – en
de nitiva una verdadera y auténtica teoría pluralista del Etwas o de la Ding»
(p. 186).
La Glosa 6. El ser
anbolutamente necesario è incentrata così sulla nozione di necessità
assoluta quale specificazione della riflessione ontologica sul nulla. Qualcosa
di assolutamente necessario non potrà riguardare il lato formaliter; dal lato materialiter, invece, qualcosa è
assolutamente necessario se il suo non-essere toglie il materiale di ogni
pensabile e tutti i suoi “data”. Ciò che si sopprime come Aufhebung sarebbe quindi una certa effettività (Wirklichkeit) che andrebbe a togliere
ogni possibilità interna in generale: ed è proprio questo qualcosa, che nega
ogni possibile, ad essere assolutamente necessario. Smascherando il nichilismo
come contraddizione assoluta, Kant può giungere così alla necessità assoluta
del suo opposto e ammettere un ente assolutamente semplice, Dio. Per
giustificare Dio come fondamento dell’essere (realitas) e di tutte le nature formaliter
degli enti, è possibile dunque riferirsi a priori a un ente effettivo, posto in
sé, tale che togliendolo sia tolta ogni possibilità e pensabilità, dunque un
ente effettivo assolutamente necessario.
Al termine di questo primo percorso, la lettura di Failla
individua i due esiti cardini delle argomentazioni fin qui condotte da Kant a
proposito dell’esistenza: un esito di carattere teoretico-conoscitivo, in cui
l’esistenza è legata sempre a un riferimento effettivo (il significante) dei
data del pensiero, e un esito di carattere onto-teologico legato alla necessità
assoluta di Dio, ricavata per opposizione alla posizione ontologica del nulla,
che svela qui quell’unico argomento, possibile e non contraddittorio, per la
dimostrazione dell’esistenza di Dio.
Un excursus
sulle nozioni di esistenza e perfezione negli scritti leibniziani e della
scolastica permette inoltre al lettore un approfondimento dell’orizzonte di
riferimento in cui s’inserisce il percorso kantiano appena seguito. Di fronte
all’alternativa leibniziana di essere e nulla, all’identità sostenuta nella
scolastica tra esistenza e perfezione, tra essere e bene, Kant sceglie il
primato ontologico dell’esistenza sul possibile logico (sull’essenza
predicativa), evitando così l’errore (wolffiano) di non riuscire a separare il
concetto di Dio dalla conseguenza, sempre legata invece al contingente.
L’operazione attuata fin qui da Kant di spostare
l’attenzione dal concetto di causa a quello di auto-contraddittorietà del nulla
è indice anche, come rilevano gli ultimi due capitoli a partire dalla Glosa 7. Necesidad y libertad, di una
preoccupazione di carattere fondamentalmente morale. A fronte del compimento
meccanicistico attuato da Wolff della filosofia leibniziana – subordinando
l’esistenza (piano ontologico) al possibile (logico) e facendo di Dio come causa sui il pieno e sommo compimento
del possibile – l’intero discorso
kantiano è mosso dalla
preoccupazione di non incorrere nella fallacia naturalistica (di
ricercare per il divino un concetto naturalistico di causa-effetto) e di non incorrere nel fatalismo delle azioni
umane, problema rimasto non risolto da Leibniz, come ben mostrato delle
analisi di questi capitoli. Failla
individua e mette in luce così l’interesse etico che è alla base delle
riflessioni teologiche kantiane, mostrando come sia possibile cogliere, nella
matura concezione della libertà, lo sviluppo e la corroborazione di problemi
già presenti in queste riflessioni, e in particolare già posti nel 1755 con la Nova Dilucidatio. Pur ancora
nell’egida della ragione sufficiente, Kant sposta qui lo sguardo dalla gradualità della certezza (infallibile
efficacia dei decreti divini sull’azione umana) alla fonte, al Woher, spirituale (intellettuale) della
libertà: in questo modo non è più necessario ipotizzare un Dio che abbia in sé
elementi della contingenza per giustificarne la prescienza inclinante e non
necessitante ed è possibile superare l’idea di una sola e cieca necessità
naturalistica. La direzione intrapresa qui da Kant è quella di ricercare
l’origine dell’agire morale esclusivamente nell’uomo, distinguendo quindi in un
orizzonte del tutto umano le azioni libere dalle azioni necessitate. Quanto più
la stessa natura umana è vincolata a una legge determinante (necessitante) che
sia indipendente dall’origine divina, tanto più si connota come libera. Emerge
già qui l’idea del volere nella relazione imprescindibile con la forza
determinante e obbligante della legge, che non potrà che essere una legge da
individuare nella sfera del soggetto e della sua spontaneità. Failla mostra
così l’intera parabola che giungerà con la prima antinomia (libertà) alla
necessità di ammettere oltre al meccanicismo una causalità libera. Attraverso queste analisi si intravede il
delinearsi dello schema argomentativo dei successivi sviluppi morali della
filosofia kantiana, a partire dalla centralità del vincolo della legge per la
libertà umana, quale terreno autonomo e indipendente dal meccanicismo e da
fonte divina, fino al rapporto di spontaneità e necessità e di spontaneità
intelligibile e causa noumenon.
Calata ormai nel cuore della filosofia pratica kantiana,
l’indagine fondamentale di Failla prosegue: la Glosa 8. Mecánica del deseo y felicidad interroga la possibilità di
giungere nell’azione pratica a una sintesi costitutiva dell’oggetto che faccia
da pandan con la ragione conoscitiva.
Qui, rispetto all’ambito teoretico, le nozioni stesse di oggetto, esistenza,
effettività e realtà oggettiva assumono un significato del tutto diverso e
talvolta ambiguo, sia esso pensato come corrispettivo oggettivo “interno” delle
idee della ragione pura pratica o corrispettivo “esterno” al pensiero stesso.
Dalle analisi dell’aporia della temporalità, alla luce
degli argomenti della Nova Dilucidatio
del 1755 (nel tentativo di smascherare l’auto-contraddittorietà del
meccanicismo) e della Terza Antinomia (è necessario ammettere una causalità
secondo libertà) della Dialettica
della prima Critica, emerge che, se
la ragione non è autogenesi ma genesi di altro, cominciamento assoluto fuori
dal tempo che ha i suoi effetti nel tempo, il tempo indica negativamente
l’intelligibile quale principio (e non condizione della serie temporale) e al
tempo stesso anche l’inevitabile “destino mondano” della libertà
incondizionata.
L’unico referente oggettivo della ragione pura pratica è
il riferimento alla volontà pura (alla pura forma della legge), e in questo
rapporto entra in gioco il sommo bene quale unico oggetto adeguato alla natura
intelligibile e incondizionata della volontà pura pratica; la realtà oggettiva
(objektive Realität) deriva qui,
stando alla Critica della ragion pratica,
dalla relazione tra massime morali (necessità oggettiva della legge) e sommo
bene (materia razionale del tendere della ragione pura pratica). Qui è in gioco la relazione tra intelligibile e prassi mondana, tema centrale della Dialettica.
Se da un lato con la Fondazione
la realtà oggettiva della moralità doveva passare attraverso i concetti
razionali di fine in sé, regno dei fini, disinteresse mondano della volontà
pura, attraverso cioè una sorta di de-oggettivizzazione dell’etica o “perdita
della mondanità” (qui il riferimento all’effettività pratico-temporale
dell’azione c’era ma restava ancora interno, sul piano normativo delle
massime), dall’altro, sarà proprio la riflessione dialettica sul sommo bene,
sulla sua perfezione e condizione somma ad attuare quel fondamentale “recupero
del mondo” fondato moralmente. Ed è qui che la dialettica tra virtù, come
dignità di essere felici, e felicità, come indice della sua completezza e
perfezione, diventa centrale per rispondere alla domanda sull’effettività della
morale. Sottolineando la diversità costitutiva dei due elementi, la cui unione
è possibile solo in una relazione sintetica, Failla riconosce qui, in assenza
di un rinvio a uno schema temporale-fenomenico della virtù, il carattere di una
sintesi dialettico-dinamica, sempre
aperta alla sensibilità e al contingente. Questa sarà possibile solo a
condizione che la natura meccanica dei desideri subentri nella ricerca della
felicità (all’interno di un significato sistematico che assume di qui la stessa
felicità come meta dell’appagamento di tutte le inclinazioni e di tutti i
bisogni naturali), in cui a muovere l’agire è il sentimento morale nel suo duplice
movimento, diretto da un lato alla sensibilità e dall’altro alla comprensione
puro-pratica.
La posizione kantiana emerge così come riflessione che
non nega né emancipa la dimensione sensibile, tendendo piuttosto a educarla
allo sviluppo della moralità. Nell’espressione “degni di essere felici”
l’Autrice riconosce quindi tutto il carico teleologico della ragione pura
pratica e la visione, propria della Critica
del Giudizio, di una natura finalisticamente pensata da un creatore secondo
fini.
Approda così, non a caso, alla teleologia questo
itinerario proposto da Failla, riuscendo a tenere insieme, con il ritmo
incalzante di queste indagini, i diversi piani di riflessione kantiana intorno
al riferimento all’oggetto, nei suoi risvolti sia in ambito teoretico che
pratico, e rinvenendo ai suoi albori le esigenze di carattere sistematico che
hanno sempre accompagnato, con nuovi confronti, conquiste e correzioni,
l’intera riflessione kantiana.
* Francesca Fantasia, dottore di ricerca in Filosofia e ricercatrice DAAD presso l’Immanuel-Kant-Forum (IKF) dell’Università Martin Luther Halle (Saale), è professore a contratto presso la Freie Universität di Berlino. Oltre alla monografia Il tempo dell’agire libero. Dimensioni della filosofia pratica di Kant, ETS, Pisa 2015, ha dedicato diversi dei suoi contributi alla filosofia pratica di I. Kant, J. G. Fichte e G. W. F. Hegel. E-mail: francescafantasia@hotmail.com.
[1] Il libro, apparso in formato digitale nel 2017 nella serie Hermeneutica Kantiana della presente rivista e in stampa nel 2018 presso Ediciones Alamanda, costituisce la traduzione spagnola (di Antonio José Antón Fernández) dello studio apparso in lingua italiana presso Quodlibet (M. Failla, Dell’esistenza. Glosse allo scritto kantiano del 1762, Macerata 2012), con aggiornamento bibliografico, ampliamento dell’ultimo capitolo e prologo di Nuria Sánchez Madrid.
[2] Kant, Der
einzig mögliche Beweisgrund zu einer Demonstration des Daseins Gottes, in AA 02: 63-163, trad. it. L’unico
argomento possibile per una
dimostrazione dell’esistenza di Dio, a cura di R. Assunto, in I.
Kant, Scritti precritici, Roma-Bari, Laterza, 2000.