L’estetica come filosofia critica

Aesthetics as Critical Philosophy

 

Federico Rampinini·

Università di Roma Tre–Università di Roma “Tor Vergata”, Italia

 

Recensione di: Garroni, Emilio, Estetica. Uno sguardo attraverso, Roma, Castelvecchi, 2020, pp. 262. ISBN: 978-88-3290-018-7

 

La crisi profonda che investe il mondo della cultura e dell’editoria italiana fa sì che solo in rari casi i libri superino la prima stampa e che ancor più raramente vengano riproposti lavori magistrali anche del più recente passato. Per questo motivo Stefano Velotti, curando la ripubblicazione di Estetica. Uno sguardo-attraverso di Emilio Garroni, con l’aggiunta in appendice del testo inedito della relazione Senso e non-senso, realizza un’operazione culturale importante e significativa.

Come ha rilevato Amoroso (2006: p. 107), Emilio Garroni, “rileggendo Kant, ha rifondato l’estetica come filosofia”. Garroni, negando che l’estetica sia una filosofia speciale, che si occuperebbe dell’oggetto specifico arte, mette in luce come essa, pur nelle sue molteplici declinazioni, sia piuttosto filosofia del senso, studio delle condizioni della sensatezza dell’esperienza, attraverso esempi paradigmatici. Questa prospettiva è evidente in Estetica. Uno sguardo-attraverso, nelle cui pagine la lettura di Kant si intreccia – senza mai plasmarvisi – a una prospettiva teorica ricca e personale, che d’altro lato emerge e si struttura anche grazie al confronto con numerosi altri momenti della storia del pensiero moderno e contemporaneo. Come sottolinea Velotti (pp. 5-6), Garroni propone un’estetica “come compimento di un modo critico di pensare, cioè di una filosofia critica che va emergendo nel XVIII secolo e che trova nella riflessione kantiana la sua sintesi più elaborata e a tutt’oggi imprescindibile”. Se il richiamo alla filosofia di Kant è quanto mai evidente, con due capitoli ad essa dedicati (III. Kant e il compimento estetico della critica, pp. 112-153; V. Kant e la filosofia del senso, pp. 189-225), e se la lettura dell’estetica del Settecento si rivela fondamentale (IV. Burke e Batteux: l’estetica, veicolo della critica: pp. 154-188), non meno importante appare il confronto con autori quali Hegel, Heidegger (in part. pp. 94-106), Croce, Gentile (pp. 77-87), ma anche Derrida (pp. 41-42 e 63-66) e Merleau-Ponty (passim).

Garroni, richiamandosi fin dal titolo al durchschauen di Wittgenstein (1953: § 90), si rivolge all’esperienza guardando-attraverso, prendendo le distanze da, e mettendo in questione, il semplice guardare, all’interno però dello stesso guardare (p. 38). Garroni rifiuta la prospettiva metafisica, che si illude di guardare l’essere dall’esterno, per descriverlo e derivarne i principi primi: egli suggerisce invece un “osare di dire l’indicibile attraverso il dicibile” (p. 249) – che ricomprende in sé anche quello che Carabellese aveva chiamato il “problema interno della filosofia”. Al contempo, egli si confronta dialetticamente con l’ermeneutica gadameriana: “senza dubbio il pensiero non si instaura mai nel vuoto di sapere […] e quindi non può fare a meno del pregiudizio”, purtuttavia esso deve essere “critica del pregiudizio in quanto già pensato-e-non-propriamente-pensato-o-ripensato in direzione di un propriamente-pensare” (p. 60). Garroni accoglie la rivalutazione ermeneutica del pregiudizio, in quanto il pensiero non si instaura mai su una tabula rasa; parallelamente, però, esso non può essere solo interpretazione: ogni tentativo del pensiero è plasmato da un’esigenza normativa che di esso è costitutiva. Il desiderio di “dire l’indicibile attraverso il dicibile”, quindi di cogliere gli orizzonti dell’esperienza, lo sfondo imprescindibile di senso, per mezzo di esperienze che non possono che essere singolari e determinate, fa volgere lo sguardo all’estetica e all’arte. In anni in cui l’estetica angloamericana di tradizione analitica conduceva un tanto inane quanto fallimentare tentativo di fornire una definizione di arte, Garroni fa sua la lezione di Croce (1909) e Baeumler (1923) e propone una filosofia estetica che non consideri le arti attraverso un’analisi separata, ma che anzi le ri-comprenda quali enti privilegiati nell’ambito di un più generale “risalimento dell’esperienza verso le sue condizioni di possibilità, determinabili non dall’esterno di un non-luogo, ma solo dall’interno stesso dell’esperienza” (Garroni, 1986: p. 225).

Come ha correttamente rilevato Velotti, Garroni, contro l’idea che il sapere o la cultura siano già da sempre depositati analiticamente nelle cose stesse, mostra come la prospettiva critica, proprio grazie alla tematizzazione della condizione di senso, permetta “non solo l’emergere della nozione di arte come propria manifestazione esemplare, ma la stessa possibilità di proiettarsi sul passato per tessere quell’intreccio di somiglianze e differenze a partire da cui si costituisce un sistema delle «belle» arti” (p. 15). Nonostante talune inesatte semplificazioni (ad esempio, la musica antica e medievale considerata semplice scienza armonica, pp. 73-74), Garroni segue la via già prospettata da Croce (1972) e mette in luce, relativamente al problema della nascita dell’estetica, la possibilità di segnalare, tra le due alternative possibili – l’arte è sempre esistita e l’arte comincia a esistere solo con il sorgere di un’estetica (p. 76) –, “idee, tra le quali è dato di ritrovare analogie notevoli, da riportare però in campi almeno in parte diversi” (pp. 75-76). Garroni, non privo talvolta di una certa retorica narcisistica, mostra come l’estetica quale sguardo-attraverso riesca a rintracciare la condizione per la quale determinati enti sono stati considerati in epoca moderna come depositari della condizione del senso, per se stesso inesprimibile. In tal modo, egli individua la ragione per la quale l’arte contemporanea (dissolta la propria esemplarità, come già notarono Hegel e Heidegger) sembra caratterizzata dal suo stesso essersi-messa-in-questione-dovunque, non solo nei suoi prodotti tradizionali, ma nelle attività più diverse. Da un lato, di contro al senso perduto dell’arte tradizionale, le avanguardie hanno esasperato “la propria contingenza, la propria situazionalità, la propria non-riconoscibilità, proponendosi […] come rischio – rischio eroico e calcolato – di riconquistare, perdendola, la propria esemplarità”. Dall’altro lato, “oggi, di fronte all’arte-rischio, che sottrae il senso per restituirlo in negativo, c’è non più l’arte tradizionale e tradizionalista, che donava il senso […], ma potrebbe esserci piuttosto l’arte d’intrattenimento […] che semplicemente accompagna il senso, ignorando radicalmente il non-senso, come se il senso trasparisse naturalmente da ogni fatto, importante o trascurabile, della vita e dell’arte” (pp. 229-230).

All’interno di questo complesso sfondo teorico, tracciato nel primo e secondo capitolo (Sul guardare-attraverso, pp. 31-68; Il circolo estetico, pp. 69-111), la lettura della Critica della facoltà di giudizio acquisisce un ruolo fondamentale. In quest’opera si manifesta emblematicamente la raggiunta consapevolezza, da parte del pensiero, della natura non intellettuale (indizio di un guardare l’esperienza dall’esterno), ma estetica del suo principio – natura estetica che segnala così lo sguardo-attraverso della riflessione immersa nell’esperienza stessa. Garroni ribadisce la critica scaravelliana all’idea, mai del tutto accantonata, di un’opera venuta a completare dottrinariamente il sistema attraverso un insieme eterogeneo di problemi” (p. 115). L’opera del 1790 sarebbe piuttosto “un’apertura […] al comprendere il pensare e il significare nelle sue varie forme, strettamente scientifiche, quasi scientifiche o osservative, poetiche e anche speculative” (p. 122). Tale approfondimento viene condotto a partire dall’occasione esemplare del bello, la cui analisi consente l’individuazione di un principio “che non può non avere un ruolo necessario in qualsiasi altra esperienza, in primo luogo conoscitiva” (p. 128). Tenendo conto che l’esperienza estetica non è una regione separata dalle altre esperienze possibili, ma è anzi anticipazione dell’esperienza in generale, Garroni è lapidario nell’affermare, in maniera incisiva, seppure forse imprecisa, che “in questo senso non esiste affatto un’estetica di Kant” (p. 116): una teoria del gusto di Kant esiste eccome, non quale dottrina, magari descrivente le caratteristiche fisiche dell’oggetto, bensì come critica trascendentale del bello, atta a individuare il vero fondamento del peculiare piacere estetico; ma è da credere che su questo Garroni avrebbe sicuramente convenuto (si vedano anche le pp. 126-130). Proprio la nozione di Bestimmungsgrund è al centro della lettura delle pagine kantiane e consente a Garroni di contrastare efficacemente (come anche Marcucci, 1976) l’antica accusa di intellettualismo estetico in voga in Italia nella prima metà del secolo scorso e sostenuta da De Ruggiero (1935), De Ruvo (1941) e Aliotta (1950). Secondo lo studioso, nella seconda e nella terza Critica il problema del principio di determinazione viene in primo piano (si cfr. pure Garroni 1989): sia nel caso della morale sia nel caso del gusto non esistono criteri oggettivi, tali che sia possibile dimostrare precisamente che un’azione o una rappresentazione sia rispettivamente morale o bella: lo è, morale o bella, non per caratteristiche esterne e concettualizzabili, ma in rapporto al suo Bestimmungsgrund.

Per sostenere la sua lettura, Garroni dedica un importante capitolo a Burke e Batteux (pp. 154-188), al fine di mostrare come la riflessione kantiana da un lato è al seguito del suo contesto e dall’altro lato è un’emergenza creativa rispetto ad esso: Kant ricomprende e riformula in una unità sintetica, dunque non già contenuta nel materiale, le precedenti riflessioni estetiche. E alla possibile obiezione se l’estetica delineata sarebbe per caso l’unica vera estetica, a dispetto delle variazioni storiche, Garroni risponde: “in un certo senso bisognerebbe rispondere di sì […] in un altro senso bisognerebbe invece rispondere di no, dato che qui non è in gioco il possesso di un sapere” (p. 191). L’estetica – quale riflessione sulla condizione di senso dell’esperienza in genere a partire dal caso esemplare dell’arte – è infatti anzitutto un’esigenza primaria, volta a ricomprendere in modo critico ciò che si è giù sempre in qualche modo compreso (p. 192). Non ha torto dunque D’Angelo (2020: p. 191), quando, in un saggio dedicato al sublime, rileva la tendenza del secondo Garroni a rimarcare la connessione che l’estetica instaurerebbe con la morale (che, è bene aggiungere, non va nella direzione di una fondazione normativa dell’estetica sulla morale, come talvolta si crede), rispetto a quella con la conoscenza, messa in rilievo ad esempio in Senso e paradosso. L’estetica, filosofia non speciale, 1986. Il bello mette in luce l’esigenza, non la mera speranza, né la garanzia della sua verità, della sensatezza dell’esperienza, tuttavia allo stesso tempo, anticipando a priori l’esperienza in generale, attesta in un sentimento che “stiamo a casa nostra”, e così ci consente di sentire che “ha senso fare esperienze e che da queste può sorgere una conoscenza effettiva”. La componente morale e quella epistemologica trovano il loro punto di convergenza nella nozione di senso comune, quale facoltà naturale e allo stesso tempo da acquisire, necessaria e contingente, condizione e insieme richiamo a realizzare il senso nell’esperienza. La particolarità del suo principio, il sentimento, rispetto ai principi delle altre facoltà, che può solo essere esibito, non esposto, è il risultato di un impressionante sviluppo della nozione di “gusto naturale” di Batteux, svolto con una imparagonabile consapevolezza e profondità. Se Batteux è semplicemente fiducioso del circolo estetico, Kant è consapevole che per comprenderlo propriamente è necessaria una “reinterpretazione dell’intera filosofia critica orientata verso una condizione, il senso, più interna all’esperienza, più originaria, e per ciò non esplicitabile” (p. 201). Per questa via si arriva allo superamento (Hebung) dell’apparente contraddizione che caratterizza la natura apriori-aposteriori della facoltà di giudizio (KU, § 22, ma sulla quale Kant torna più volte nel corso dei successivi paragrafi, fra cui quelli della Dialettica) attraverso una ridefinizione della nozione di principio: “è un principio per ogni singolo giudicante che fa esperienza del bello – tale da esigere il consenso altrui senza poter fondarsi su tale consenso […] – cui ci si può richiamare solo […] nel momento stesso in cui lo si pratica individualmente, pur formandosi nello stesso tempo anche attraverso i giudizi degli altri giudicanti”. Così si giunge alla terza nozione di sovrasensibile quale “principio dei fini della libertà e principio dell’accordo di questi con la [libertà] stessa nella moralità” (KU, Nota seconda succ. al § 57). Questa definizione, che raccoglie le due precedenti, consente di raccordare l’esigenza teorica al dover essere della volontà: il senso comune “è il vero e proprio principio della facoltà di giudicare – estetico [come sentimento], e solo come tale legittimabile – che rende praticabili [senza garantirle], esprimendole simbolicamente, tre semplici idee, ma proprio per ciò è un far-senso che è piuttosto un dover-far-senso” (p. 223). Dunque, la componente epistemologica richiede l’esigenza morale, di cui anzitutto garantisce la possibilità, al fine di realizzarsi, e così di non rimanere indeterminata.

Infine, come già detto, il volume si chiude con la pubblicazione del testo inedito della relazione Senso e non-senso, presentata al convegno dell’Associazione italiana di studi semiotici, svoltosi a Siena il 23, 24 e 25 settembre 1988. Questo testo può essere considerato come l’esposizione preliminare e generale dei problemi affrontati più in dettaglio nel libro: qui Garroni, torna sul “problema interno della filosofia”, prendendo le mosse da problemi semiotici, attraverso la prospettiva del circolo.

Rileggere oggi l’opera di Garroni vuol dire dunque tornare a interrogarsi e sull’esperienza, in tutta la sua complessità e multiformità, e, con uno sguardo-attraverso, sul significato più intimo della filosofia trascendentale, quale prospettiva critica non dottrinale. Si realizza allora quel ricomprendere, che lo stesso studioso romano definiva come ripensare “il già-pensato e già-compreso, ritrovando la “verità” nell’“errore”, e viceversa, come sempre accade”, inevitabile per chi non vuole riproporre un uso metafisico del pensare “dall’esterno dell’effettivo pensare” (p. 66), e dell’effettivo vivere. Per tutti questi motivi, la ripubblicazione del presente volume, arricchita dalla prefazione di Velotti e dalla appendice Sul dover essere del senso è da salutare con vivo entusiasmo. Sarà possibile permettere soprattutto alle nuove generazioni di conoscere il ricco pensiero garroniano, e c’è da augurarsi che la strada da lui tracciata torni al centro dei dibattiti sull’estetica e sulla filosofia kantiana.

 

Bibliografia

Monografie:

Aliotta, A. (1950), L’estetica di Kant e degl’idealisti romantici, Perrella, Roma.

Baeumler, A. (1923), Kants Kritik der Urteilskraft: ihre Geschichte und Systematik, Niemeyer, Halle.

Croce, B. (1909), Logica come scienza del concetto puro, Laterza, Roma.

Ruggiero, G. (a cura di) (1935), E. Kant. Principi di Estetica, Laterza, Bari.

De Ruvo, V. (1941), L’estetica kantiana e il suo valore, Cedam, Padova.

Marcucci, S. (1976), Intelletto e «intellettualismo» nell’estetica di Kant, Longo, Ravenna.

Wittgenstein, L. (1953), Philosophische Untersuchungen, Suhrkamp, Frankfurt am Main.

Articoli:

Amoroso, L. (2006), “Emilio Garroni interprete di Kant e maestro di estetica”, Studi kantiani, n. 19, pp. 107-112.

Garroni, E. (1989), “Kant e il «principio di determinazione» del giudizio di gusto”, Paradigmi. Rivista di critica filosofica, n. 7, pp. 9-19.

Saggi in volumi collettanei:

Croce, B. (1972), “Inizio, periodi e carattere della storia dell’estetica” [1916], in Id., Breviario di estetica, Laterza, Roma-Bari.

D’Angelo, P. (2020), “Kant e il sublime”. In M. Failla e N.S. Madrid (a cura di), Le radici del senso. Un commentario sistematico della 'Critica del Giudizio' (pp. 135-155), Alamanda, Madrid.

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· PhD Fellow in Philosophy at Università di Roma Tre and Università di Roma “Tor Vergata”, Roma, Italia. E-mail address federico.rampininini@uniroma3.it