Il
laboratorio filosofico dell’etica kantiana: i
«lose Blätter»
Giovanna Sicolo·
Università di Tor Vergata, Italia
Recensione di: Francesca Fantasia e
Carmelo Alessio Meli (ed.), Ragione ed
effettività nella tarda filosofia di Kant. Libertà e doveri alla luce dei «lose
Blätter» e dei testi a stampa, Madrid, Ediciones Alamanda, 2021, 285 pp., ISBN: 978-84-949436-6-9.
Questo volume collettaneo, curato da Francesca
Fantasia e Carmelo Alessio Meli, si compone di due parti, intitolate "Metodologie"
e "Studi" – che "non sono separate bensì in costante dialogo tra
loro" (p. 18) – e si articola in un'introduzione e sette contributi,
offerti da di diversi autori. L'orizzonte speculativo cui si rivolge è quello
della tarda etica kantiana – della realizzazione della morale e del carattere
sistematico di questa riflessione –, il tema specifico è quello delle Vorarbeiten alle opere La religione entro i limiti della sola
ragione (1793) e La metafisica dei costumi (1797).
Con il termine Vorarbeiten si indicano i lavori preparatori che Kant stendeva
prima di affrontare il testo definitivo
delle opere destinate alla stampa (p. 14). [Queste pagine sono]
edite dall'Accademia delle Scienze
di Berlino all'interno del volume XXIII delle kantiane
Gesammelte Schriften con il titolo di
Handschriftlicher Nachlaß (p. 14).
I curatori, tuttavia, evidenziano subito come la
denominazione di lavori preparatori non colga a pieno la natura di questi
testi, che andrebbero più propriamente chiamati – come recita il titolo del
libro – lose Blätter. Se questo
materiale si presenta come fogli sparsi, si pongono due problemi di natura,
primariamente, filologica: la loro precisa collocazione cronologica e lo
statuto stesso di lavori preparatori, in relazione alle rispettive opere edite.
Così, la pubblicazione raccoglie i frutti del primo convegno (italo-tedesco)
organizzato esclusivamente su questi temi, tenutosi a Roma nel 2016 presso
l'Istituto Italiano di Studi Germanici. La prima parte del libro offre un punto
di vista genuinamente filologico mentre nella seconda, che "fa tesoro
degli avvertimenti tecnici della filologia" (p. 18), gli autori illustrano
il contributo speculativo delle Vorarbeiten.
In tal modo:
il
presente volume collettaneo muove dalla medesima intenzione di fondo che oggi sottende l'uso dei materiali secondari
(come le lezioni e le riflessioni) del filosofo di Königsberg: vale a dire, l'idea della possibilità di leggere
i classici testi di Kant con l'ausilio di
scritti o lavori non pubblicati e non sempre noti come quelli a stampa (p.17).
Al di là delle diverse prospettive di lettura, sembra
comune a tutti gli studiosi l'idea che i lose
Blätter siano un "laboratorio filosofico" (p. 16) che Kant usa
"per chiarire, in primo luogo a sé stesso, alcuni dei nodi centrali di un
intero percorso di maturazione concettuale" (p. 17). Lorenzo Perilli,
in questa prima parte dedicata alla filologia, presenta un contributo dal
titolo "Kant e la filologia degli scartafacci. Considerazioni di metodo in
margine all'edizione del Nachlass di
Immanuel Kant". Egli offre una panoramica generale sulle vicende storiche
e sulle problematiche specifiche della filologia, fornendo utili strumenti
tecnici per la contestualizzazione dei lose
Blätter. Perilli si occupa del concetto di propagazione dell'errore e di
approssimazione, poi – particolarmente interessante ai fini di questo volume –
riflette sul problema dell'originale. Le Vorarbeiten
sono manoscritti kantiani di cui non vi è un originale in senso stretto; ma
è dirimente capire cosa debba intendersi per originale, in riferimento a un
testo moderno:
con originale si dovrà intendere non la fase più remota a cui sia dato
risalire, il punto di partenza di
quella linea il cui punto d'arrivo è il libro stampato, bensì il provvisorio
punto d'arrivo del processo
creativo e di elaborazione dell'autore (p. 33).
Ciò considerato, Perilli fa ben notare come nel caso
dei Nachlass un originale
semplicemente non esista, poiché
non esiste una volontà dell'autore
di rendere di pubblico dominio quella che è una fase preliminare del processo di formalizzazione del suo pensiero (p.
33).
Conseguenza di ciò è che
"un Nachlass è un testo ad una
dimensione" in cui "manca [...] l'orizzonte del fruitore, insomma di
un destinatario" (p. 33). Valutata la specificità di questi documenti,
l'autore sostiene:
piuttosto che di una ricostruzione
del testo, si tratterà qui di ricostruzione della genesi del testo, e del percorso, in questo caso filosofico, che ha condotto ad un certo
tipo di formalizzazione (p. 39).
Egli auspica in questo modo a:
una edizione aperta, intesa principalmente a guidare il lettore,
mediante la disponibilità e l'organizzazione
della documentazione, attraverso la storia del testo e i problemi che esso pone, offrendo al tempo stesso gli
strumenti per una possibile interpretazione (p.40).
Werner Stark, nel contributo intitolato
"Anmerkungen und Hinweise zu einer vernachlässigten Gruppe der
Handschriften von Immanuel Kant", offre un'analisi molto tecnica e
puntuale che, metodologicamente, non prende in considerazione alcun contenuto
filosofico. Egli conduce uno studio filologico, storico-genetico, su alcune specifiche pagine kantiane: il
frammento di Weimar, manoscritto in bella copia (Reinschrift) del trattato sulla pace perpetua, di cui mostra le tre
fasi di stesura; l'inedito manoscritto per la stampa del primo capitolo de La religione entro i limiti della sola
ragione. In linea generale,
tramite questi esempi, l'autore pone la questione della natura stessa delle Vorarbeiten:
Wo sollte
in concreto die Grenze gezogen werden zu einer ›Vorarbeit‹ und vor allem, wer sollte die Grenze ziehen – anhand welcher Kriterien? (p. 68).
Nello specifico, poi, con il primo Stark evidenzia
alcuni limiti metodologici dell'edizione della Akademie-Ausgabe, in relazione alla particolarità di questi
materiali:
Gibt die Beschreibung (sc. die
Edition) die Eigenarten des Ms mit hinreichender Genauigkeit wieder? – Ich meine: Nein! (p. 70).
Con il secondo esempio, invece, lo studioso attesta come
il lavoro sui lose Blätter sia ancora
molto aperto (p. 89), là dove, delle "genetisch ausgerichtete Überlegungen
fehlen jedoch" (p.86). Con il suo contributo, Stark mostra la proficuità
del metodo filologico-genetico, nella misura in cui, invece, attualmente: "unterschätzt
ist vor allem der Schreibprozeß als solcher" (p. 88).
Il primo contributo della seconda parte è di Silvia
Petronzio e si intitola "«Innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft».
Teologia filosofica e chiesa vera nella Religion
di Kant". In piena sintonia con gli intenti del volume, la studiosa si
concentra sui temi della concretizzazione del bene e dell'attuabilità della
comunità etica. L'argomentazione è suddivisa in quattro momenti. Nel primo,
l'autrice si concentra sulla Prefazione alla seconda edizione della Religione, nella quale, Kant, per
chiarire il titolo dell'opera, usa la celebre metafora dei cerchi concentrici,
immagine della relazione tra religione rivelata e religione razionale.
Depotenziandone i possibili fraintendimenti, Petronzio illustra molto bene come
la religione entro i limiti della sola
ragione sia:
l'esito del riconoscimento di quanto
razionale si trova all'interno di una rivelazione, considerata come un Factum,
nonché all'interno della storia che si sviluppa su di essa e introno ad essa (p. 117).
Nel secondo momento, le Vorarbeiten si rivelano utili per chiarire la funzione
storico-antropologica della rivelazione, intesa come condizione soggettiva, "esibizione
o [...] possibile rappresentazione della religione razionale nel mondo, in una
chiesa" (p. 123).
Nel
terzo momento, questa idea è confermata tramite l'analisi dei capitoli III e IV
della Religione, in cui Kant affronta
il problema della conformazione della Chiesa visibile alla Chiesa invisibile.
Delineate tali relazioni, la studiosa può illustrare con precisione il compito
della teologia filosofica:
in questo quadro, come il rapporto
fra ragione e rivelazione definito dalla metafora dei cerchi concentrici non descrive il dato di partenza ma l'esito dell'operazione
teorica affidata al teologo
filosofo, così rintracciare l'unità fra ragione e rivelazione [...] è il
prodotto della capacità del filosofo di
riconoscere, insieme, ciò che è oggettivamente
religione e ciò che soggettivamente serve alla instaurazione
della stessa nel genere umano (p.127).
Come recita il titolo del secondo contributo,
"Kant's Anti-Semitism? On the Question of the 'Return of Israel' in the
Vorarbeiten zur Religion innerhalb der
Grenzen der bloßen Vernunft", Francesco Valerio Tommasi riflette sulla
controversa posizione di Kant in merito al dibattito sul cosiddetto ritorno di
Israele, evidenziando come di particolare ausilio, in merito, siano le Vorarbeiten alla Religione. Se in alcuni passaggi del testo a stampa il filosofo prende
posizione contro il giudaismo – inteso come un sistema teocratico in cui
l'aspetto legale non è separato da quello morale –, i lavori preparatori, oltre
a evidenziare una diffusa attenzione sulla questione ("It is very
surprising, how often and how detailed Kant treats this problem over and over
again" p. 159), ne mostrano inedite prospettive. Emerge la convinzione
kantiana secondo cui l'unità che gli ebrei hanno conservato, nonostante la
diaspora, sia un miracolo. Nelle Vorarbeiten Kant fa esplicito riferimento
a uno degli esponenti principali del dibattito, Moeses Mendelssonhn, e sembra
accoglierne alcune tesi. Sostiene Tommasi:
Kant
may probably much appreciated the way in which Mendelssonhn presents the distinction between State and Church,
politics and religion in the first part of the Jerusalem (p. 155).
Mendelssonhn, spiega l'autore, interpreta la diaspora
come la fine di Israele in quanto entità politica e, dunque, della commistione
tra politica e religione. In dimensione escatologica, questo movimento potrebbe
essere interpretato, nella riflessione kantiana, "as attempt to apply to
Christianism and to religion in general what Mendelssohn did for Judaism"
(p. 163). Così, conclude lo
studioso
the
problem of the 'miracle' of Judaism is irresolvable by reason, and the question
of 'return of Israel' has to be
displaced on a moral level, because it can only regard the purification of that historical faith – just like all other
ones – to moral faith (p. 163).
Come chiaro nel
titolo, "Zum Unterschied von Willen und Willkür. Vergleich
zwischen der Druckfassung der Metaphysik
der Sitten und den Losen Blättern Kants",
Francesa Fantasia si occupa della differenza tra volontà e arbitrio, in un
confronto testuale tra l'Introduzione alla Metafisica
dei costumi e le Vorarbeiten a
quest'opera. La differenza tra volontà e arbitrio, spiega bene la studiosa,
circoscrive nella tarda filosofia kantiana il concetto della libertà umana, in
relazione ad un'etica concreta. I nuclei concettuali in cui si articola la questione
sono la libertà negativa dell'arbitrio e l'inespicabilità dell'azione umana
contraria alla legge, così l'inespicabilità del male. Sullo sfondo si stagliano
i problemi della Zurechnungsfähigkeit e
quello della libertas inidifferentiae.
Nel testo a stampa, il carattere negativo della libertà dell'arbitrio "ist
jene Unabängigkeit ihrer Bestimmung durch sinnliche Antriebe" (MS AA 06:
216.35-214.01), là dove invece, il concetto positivo di libertà è: "das
Vermögen der reinen Vernunft für sich selbst praktisch zu sein" (MS AA 06:
216.35-214.01). In tale stato di
cose, Fantasia problematizza:
Während
der Wille mit der reinen praktischen Vernunft identifiziert werden kann, identifiziert er sich nicht mit der
ganzen moral-praktischen Freiheit des Menschen. Im Gegenteil: Mit einer provokatorischen Aussage legt hier Kant
fest, dass der Wille auch nicht
als freier qualifiziert werden kann. Frei ist nur die Willkür zu nennen (p.
178).
Un'azione contraria
alla legge è possibile solo sul piano dell'arbitrio, cioè nel processo riflessivo – dunque, imputabile! – di
determinazione e gerarchizzazione delle massime; invece, come si legge nelle Vorarbeiten:
der
Wille ist nicht unter dem Gesetz sondern er ist selbst der Gesetzgeber für die
Willkür und ist absolute praktische
Spontaneität in Bestimmung der Willkür" (HS AA 23: 248. 05- 09).
Su quest'ultimo piano la possibilità stessa del male è
inesplicabile (cfr. imprescrutabilità dell'intenzione). Qui è fondamentale la
differenza tra ragion pratica e ragion pura pratica. Da questo punto di vista,
mostra bene la studiosa, i lose Blätter
sono particolarmente utili, nella misura in cui, la differenza tra arbitrio e
volontà si declina nella concezione dell'uomo in quanto fenomeno e noumeno e nella relazione tra causa instrumentalis e causa originaria. Argomenta Fantasia:
Um die
Position Kants zur Verneinung einer libertas
indifferentiae [...] zu verstehen, muss man
das ganze Spektrum des Spannungsfelds zwischen zwei Ebenen der praktischen Rationalität erfassen, d.h. zwischen praktischer
Vernunft und reiner praktischer Vernunft, Maximen
und Gesetz, Nötigung und Notwendigkeit, zwischen einem Handeln aus vernünftigen (instrumentellen) Gründen und
einem aus Vernunftgründen (p. 208).
Federica Basaglia, nel suo contributo – "La collocazione
sistematica dei doveri perfetti verso sé stessi nella tassonomia della Metaphysick der Sitten" – riflette,
appunto, sulla collocazione sistematica dei doveri perfetti verso sé stessi
all'interno della Metafisica dei costumi.
Nella prima sezione, l'autrice spiega la problematicità di tale posizione, Kant
distingue i doveri di virtù da quelli di diritto, come segue:
i primi sono dotati di obbligazione
larga e sono definiti anche doveri imperfetti, i secondi, invece, sono di obbligazione stretta e
sono doveri perfetti (p. 218).
A questi ultimi è deputata la prima parte dell'opera
la Rechtslehre, ai doveri di virtù –
imperfetti – la seconda, la Tugendlehre.
Se questa impostazione è ribadita anche nella Einleitung alla Dottrina della
virtù, occorre chiarire il particolare statuto dei doveri verso sé stessi, doveri di virtù ma perfetti. Nella
seconda parte, la studiosa propone una possibile soluzione della questione, ben
giustificata nella terza e ultima parte, tramite la lettura delle Vorarbeiten. Basaglia, rifacendosi ad J.
Alves, evidenzia il carattere negativo dei doveri verso se stessi, in
particolare di quelli riguardanti la natura morale e la sua perfezione. Questi
doveri, intesi come fini obbligatori, sono già realizzati nell'essere umano ma,
per ragioni contingenti e concernenti l'agire dell'uomo, potrebbero trovarsi in
pericolo: "il dovere umano in questi casi, quindi, consisterebbe nella
conservazione di questi fini già realizzati" (p. 229). Puntualizza,
dunque, Basaglia:
si tratta di delineare con più
chiarezza il carattere vincolante di prescrizioni negative, [...] che non sono oggetto della dottrina
del diritto in quanto derivano dalla legislazione esclusivamente interna e,
per quanto riguarda la loro osservanza, lasciano un margine di libertà relativo alla decisione sulle
modalità (il come) di adempimento al dovere. Questo particolare 'ibrido' sono i doveri perfetti verso se
stessi (p. 230).
Rispetto ai doveri di virtù della Einleitung – imperfetti, poiché contraddistinti da obbligazione
larga rispetto alla libertà lasciata all'arbitrio nella determinazione del come
e del quando raggiungere il fine – lo
statuto dei doversi verso se stessi è differente:
Mentre la loro obbligatorietà
sarebbe larga per quanto riguarda il come
raggiungere il fine, essi non
ammetterebbero margine d'azione (Spielraum)
per quanto riguarda la loro esecuzione
e si configurerebbero, pertanto, in questo caso, come doveri di virtù perfetti (p.
228).
Nel suo contributo, "Il dovere perfetto di essere
imperfetti. Riflessioni sui doveri etici nei manoscritti di Kant", Carmelo
Alessio Meli parte da una difficoltà simile alla riflessione di Basaglia e ne
mostra ulteriori sviluppi. Anch'egli, infatti, si dedica alla differenza tra
doveri perfetti e doveri imperfetti. Lo
studioso evidenzia la non definitività della dicotomia tra doveri perfetti e
imperfetti, la quale, funziona "a cavallo" tra diritto e morale e
come a volte sia "possibile riscontrare queste due forme di obbligo anche
nella sola etica" (p.244). Meglio ancora, Meli spiega come la
determinazione di entrambe le forme di dovere serva a Kant, nella Tugendlehre, per circoscrivere il
legittimo campo dell'etica:
Kant sottolinea dunque che l'etica è
quella scienza che si occupa precisamente di [...] principi soggettivi (massime)
e che, a differenza dello ius, non
può indicare una singola azione come obbligatoria. Posto un
principio etico obbligante [...] l'uomo è lasciato libero di scegliere le strade che conducano alla
realizzazione di questo principio (p. 240).
In questa comprensione, si qualifica meglio anche lo
statuto dei doveri imperfetti:
quando Kant dice che l'etica
fornisce le leggi per le massime delle azioni sta dicendo che essa coinvolge ciò che di trascendentale
esiste nell'agire pratico (p. 243).
Sembra esistere dunque, argomenta brillantemente Meli,
"un senso 'critico' alla base dell'imperfezione del dovere" (p.253).
La medesima natura critica, da un altro punto di vista, hanno i doveri perfetti
verso se stessi, così l'autore:
Tutti le azioni che avvengono
nell'universo morale sono contingenti e i doveri etici propri possono essere soltanto imperfetti.
L'unica cosa ad essere perfetta è il grado
dell'obbligazione, ossia il principio alla base di questi doveri (p.
262).
Nella prospettiva di vita storica del soggetto:
Se [...] la realizzazione della
legge sarà sempre imperfetta, il dovere di avvicinarsi sempre di più ad un'immagine pura di virtù non conosce
eccezione (p. 262).
Da qui il titolo del contributo, tratto dalla Tugendlehre: "Il dovere imperfetto
di essere perfetti" (TL AA 06: 447). Questa comprensione è confermata e
ribadita attraverso la lettura dei lose
Blätter, dalla quale, in merito ai doveri perfetti, emerge:
Questi doveri rappresentano, si può
dire, la condizione di possibilità attraverso cui possiamo parlare di intenzione
etica. È come se fosse una definizione trascendentale del dominio dell'etica (p. 272).
Chiara ed efficace la conclusione di Meli:
Soltanto
con una costante riflessione critica sulla possibilità dell'etica e sulla
definizione dei principi
assoluti dell'agire (doveri perfetti) è possibile, nonostante la contingenza
della storia degli uomini, dichiarare
la moralità – e la libertà – possibili effettivamente (p. 282).
Grazie ai numerosi e specifici spunti di riflessione
offerti da ciascun saggio, il volume mostra complessivamente il valore dei lose Blätter. Questi documenti
permettono di accedere a ciò che L. Perilli denomina:
diasistema
interno dell'autore, quel plesso nel quale si intrecciano i suoi pensieri,
i tentativi, i fallimenti, gli
interessi, un tessuto interiore che può arricchire e aiutare a intendere il più complessivo sistema
delle opere ben levigate (p. 45).